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  • Immagine del redattoreMaria Elena Cristiano

La Santa Muerte: l'altra faccia del culto dei morti.


La fine del mese di ottobre e l'inizio di quello di novembre sono caratterizzati da celebrazioni cariche di pathos e di storia. Subito dopo Halloween (o Samhain per i cultori del capodanno celtico, che cade la notte del 31 ottobre, quando spiriti e anime vagano sulla terra mescolandosi ai vivi) si apre un periodo che culmina nella ricorrenza del 2 novembre, durante il quale si onorano i defunti attraverso riti, feste, doni votivi e fiori. I cattolici si appropriarono di questa ricorrenza attorno all'anno 998 d.C., quando un abate benedettino di Cluny fece suonare le campane funebri dopo i vespri del 1 novembre e il giorno successivo offrì l’eucarestia pro requie omnium defunctorum. Ma l'origine della festa dedicata ai cari estinti è ben più antica: risale, infatti, alla ricorrenza romana dei Sigillaria, che aveva luogo verso la metà del mese di dicembre (il 25, al posto dell'odierno natale, la stirpe dei Cesari festeggiava il Sole Invictus, raffigurato come un bimbo nascente; colta l'analogia?) e durante la quale i civis si scambiavano statuine che rappresentavano i Lari (i Numi Tutelari: defunti che proteggevano le case), regali e dolci.

Analoga, ma geograficamente distante, è l'usanza Latino Americana, particolarmente presente in Messico e Guatemala, di rendere omaggio ai trapassati attraverso musica, cibo, fiori e travestimenti. Dal 28 di ottobre al 2 di novembre nei paesi del centro-america cortei festanti di gente truccata da Calaveras (teschi colorati e preziosi) sfilano per le strade, altari barocchi vengono allestiti in ogni casa e una gran quantità di dolci viene consumata per festeggiare degnamente i Dias de los Muertos. Una tradizione ben più antica del cristianesimo, inculcato con violenza inaudita dai conquistadores spagnoli, che trae origine dai culti Aztechi e May pre-colombiani, nei quali la Morte veniva venerata e rispettata come una parte essenziale, naturale e per questo niente affatto spaventosa del ciclo della vita. Strettamente connessa con il culto dei morti, è l'iconica figura di Mictēcacihuātl – conosciuta anche come Signora della Morte – divinità azteca che regnava sull’Oltretomba. Regina di Mictlan, l’inferno degli Aztechi, governava le anime dei defunti ed era festeggiata all'inizio del mese di novembre. La devozione a Mictēcacihuātl si fonde con quella dei Dias de los Muertos e, con l'avvento del cattolicesimo, confluisce, anche grazie agli influssi della religione africana yoruba, nel culto de La Santa Muerte, celebrato tutto l'anno, ma con particolare attenzione durante i giorni che vanno dalla fine di ottobre agli inizi di novembre.

Raffigurata come uno scheletro vestito da donna, con lunghi veli, corona sul capo e mani giunte, la Nina Blanca (anche detta Santisima Muerte o La Flaca, sono certa che ora ascolterete il classico di Jarabe de Palo con tutt'altra attenzione) ghermisce una bilancia e una marionetta (simboli della caducità dell'essere umano) ed è spesso raffigurata assisa su un trono con un gufo appollaiato ai piedi. Simile all'iconografia della madonna, il suo culto non è mai stato sistematizzato in una vera e propria religione, ma ha continuato a mietere proseliti serpeggiando fra i cristiani e raggiungendo alla fine del 1900 la ragguardevole cifra di circa 56 milioni di adepti. Il culto de la Santa Muerte viene prepotentemente alla ribalta il 31 ottobre del 2001 quando al n.12 di Calle de Alfarerìa a Tepito, il quartiere più malfamato di Città del Messico, chiamato anche Barrio Bravo, la signora Enriqueta Romero, meglio nota come Doña Queta, allestisce il primo altare pubblico dedicato alla Santisima, interrompendo un lungo periodo di clandestinità.

La Santa Muerte, per sua stessa natura, è una divinità particolarmente democratica: la signora con la falce non predilige nessuno, non fa sconti, non si commuove davanti alla bontà o alla santità e non si erge a giudice dei peccatori. Come diceva il compianto Totò, che nulla aveva a che fare con riti esoterici e affascinanti, la morte è una livella e come tale è assolutamente imparziale. Erroneamente è temuta e allontanata, così quando qualcuno la venera, la adora, la invoca, si mostra magnanima per questa inaspettata gentilezza e decide di esaudire qualunque tipo di richiesta gli sia rivolta da un devoto fedele. Ecco, allora, che il culto de La Santa Muerte appartiene agli ultimi, ai diseredati, alle prostitute, ai ladri, ai narcotrafficanti, ma anche ai barboni, ai poveri a quelli che vivono di espedienti e che votano la loro esistenza a questa dea misericordiosa e terribile. Il suo culto è semplice: basta erigere un altare, donarle fiori, miele e frutta, blandirla e adorarla con costanza e la dama bianca elargirà i suoi favori, esaudendo qualunque tipo di richiesta, ma la Nina Blanca è gelosa e vendicativa: se il fedele non rispetterà i suoi voti, la signora velata si vendicherà facendo morire le persone più care al traditore.

Un culto sanguigno, passionale e affascinante, speculare e saldamente intrecciato con una delle devozioni più colorate e pacifiche del mondo.



 

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